Questione Valeria
Marruvium
Santa Sabina
San Bonifacio IV
Il Teatro e le statue
Monachesimo
Samnium
   
il primo prosciugamento del lago fucino

 

il IV Samnium

 

Si riprende qui la traccia della lezione dedicata alla Regio IV Samnium nel corso del seminario su
'Gli spazi geografici della Storia romana: l'Italia', tenuto da Alessandro Cristofori
nell'anno accademico 2001/2002 presso l'Universita' di Bologna.
Il testo originario si trova all'indirizzo

http://www.telemaco.unibo.it/rom/italia/samnium.htm

Regio IV: Samnium

Figura 1 - La Regio IV: Samnium

La regio IV dell'Italia augustea
   

 



I confini

La regio IV Samnium, talvolta chiamata anche Sabina et Samnium, confinava a sud con l'Apulia et Calabria lungo il corso inferiore del fiume Tifernus (odierno Biferno). A sud e sud-ovest il confine tra la quarta regione con l'Apulia e la Campania può essere stabilito solo sulla base delle liste di città che Plinio ascrive al Sannio. All'estremo occidente della regione erano l'Aniene e il Tevere a segnare il limite, rispettivamente, con il Latium e l'Umbria. Il territorio della Sabina si incuneava poi tra Umbria e Piceno: il confine con l'Umbria seguiva all'incirca il corso del fiume Nar (oggi Nera), mentre quello con il Piceno correva lungo lo spartiacque dell'Appennino, con i grandi gruppi montuosi dei Monti Sibillini e del Gran Sasso. Lungo la costa Adriatica le informazioni forniteci da Plinio il Vecchio nella sua Storia naturale sembrano contradditorie: a III, 110 egli afferma che i Piceni occupavano tutto il territorio fino al fiume Aternus (oggi solo l'alto corso di questo fiume ha conservato l'antico nome di Aterno, mentre il basso corso ha assunto il nome di Pescara); a III, 107 tuttavia afferma che i Pennienses, cioè gli abitanti dell'odierna Penne, si trovavano nel territorio della IV regione, nonostante la località si trovi a nord dell'Aternus. È peraltro possibile che il vecchio confine etnico tra i Piceni e i loro vicini meridionali, i Vestini, non coincidesse con il limite di età augustea tra le regiones IV e V e che questo corresse un poco più a nord dell'Aterno-Pescara, probabilmente lungo un modesto corso d'acqua, il Saline, che oggi sfocia nei pressi di Silvi Marina, e il suo affluente Fino.



Le popolazioni

La IV regione dell'Italia augustea presenta un incredibile mosaico di tribù, che peraltro avevano come tratto unitario la comune appartenenza al ceppo linguistico osco e, nell'opinione degli antichi, lo straordinario valore guerriero. Così in effetti Plinio il Vecchio caratterizzava la quarta regione:

Testo 1 - Plinio, Storia naturale, III, 106: la regio IV dell'Italia augustea

Sequitur regio quarta gentium vel fortissimarum Italiae.

[Testo tratto dall'edizione di di H. Zehnacker, Pline l'Ancien. Histoire naturelle. Livre III, Paris 1998] Traduzione: segue la quarta regione, che comprende le genti più valorose d'Italia.[Traduzione di G. Ranucci in G.B. Conte (a cura di), Gaio Plinio Secondo. Storia Naturale I. Cosmologia e geografia. Libri 1-6, Torino 1982]



Partendo da nord la prima grande popolazione della IV regione che incontriamo è quella dei Sabini, stanziati in due zone dai caratteri abbastanza distinti: la prima era costituita dalle valli dei fiumi Nar e Avens (rispettivamente gli odierni Nera e Velino, dunque in un territorio oggi corrispondente all'incirca alla provincia di Rieti) e dal territorio sulla sponda sinistra del Tevere: è la cosiddetta Sabina tiberina, un territorio relativamente fertile, che valse alla Sabina fama di ricchezza; la seconda zona era costituita dalla vallata superiore dell'Aternus, una regione assai più aspra e montuosa.

Gli autori antichi avevano opinioni assai diverse sull'origine di questo popolo: secondo Catone (in un frammento tramandatoci da Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 49, 2; cf. anche M. Chassignet, Caton. Les Origines (Fragments), Paris 1986, p. 26, fr. II, 21) essi presero il nome da Sabino, figlio dell'antichissima divinità Sancus, e provenivano dalla località di Testruna, ai piedi del Gran Sasso, nella regione di Amiternum. Secondo lo storico della fine del II sec. a.C. Cneo Gellio (in un frammento tradito da Servio, Commento all'Eneide, VIII, 638, che si vedrà nell'edizione di H. Peter, Historicorum Romanorum Reliquiae, I, Stutgardiae 1914, p. 151, fr. 10) essi discendevano dall'eroe spartano Sabus (e la leggenda dell'orgine spartana dei Sabini, che traeva la sua giustificazione dalla bellicosità di quest'ultimo popolo e dall'asprezza di alcune delle regioni da esso abitate, in effetti godrà di una certa fortuna); secondo il greco Zenodoto di Trezene (Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 49, 1; cf. anche F. Jacoby, Die Fragmente der griechischen Historiker, III C, Leiden 1958, pp. 895-896, fr. 3; di Zenodoto altro di certo non si può dire, se non che si tratta di uno storico di età ellenistica) i Sabini erano invece una popolazione di origine umbra che, cacciata dalle loro sedi originarie dai Pelasgi, si erano stabiliti intorno a Rieti. Per Strabone infine:

Testo 2 - Strabone, Geografia, V, 3, 1: origine dei Sabini e loro diffusione in Italia

[Testo tratto dall'edizione di F. Lassère, Strabon. Géographie, Tome III (Livres V et VI), Paris 1967]

I Sabini sono un popolo antichissimo e autoctono: sono loro coloni i Picentini e i Sanniti, di cui sono coloni i Lucani, dei quali sono, a loro volta, coloni i Brettii. Come prova della loro antichità si potrebbe addurre il coraggio e tutte le virtù grazie alle quali hanno resistito fino al presente. Afferma lo storico Fabio che i Romani conobbero la ricchezza per la prima volta allorché diventarono signori di questo popolo.

[Traduzione di N. Biffi in N. Biffi, L'Italia di Strabone. Testo, traduzione e commento dei libri V e VI della Geografia, Genova 1988]



Fin dalle sue origini la storia di Roma è strettamente intrecciata con quella dei Sabini: sarà sufficiente accennare al celebre episodio del ratto delle Sabine e alla doppia monarchia che avrebbe regnato su Roma, con l'affiancarsi a Romolo del sabino Tito Tazio. L'integrazione fra Roma e i Sabini nei secoli seguenti può assumere forme pacifiche, come quelle dell'emigrazione a Roma dell'intero clan dei Claudi, guidato da Appio Claudio (o Atto Clauso, come i Sabini chiamavano questo personaggio), un episodio variamente datato dalle nostre fonti, ma che probabilmente va collocato nei primi anni della Repubblica. Non mancano tuttavia momenti conflittuali, come l'incursione su Roma che il sabino Appio Erdonio tentò nel 460 a.C., riuscendo addittura ad impadronirsi per breve tempo del Campidoglio. Battuti nel 449 a.C., i Sabini rimasero quieti per 150 anni, fino alla III guerra sannitica, quando invasero nuovamente il territorio romano; battuti, videro parte del loro territorio confiscato a favore dei cittadini romani, cui fu distribuito in piccoli lotti individuali (in questo momento si deve inquadrare la testimonianza di Fabio Pittore, riportata da Strabone, secondo la quale i Romani conobbero per la prima volta la ricchezza nel momento in cui sottomisero la Sabina); i Sabini peraltro ottennero nel 289 a.C. la civitas sine suffragio e nel 268 a.C. la piena cittadinanza.

A sud dei Sabini, sulle sponde nord-occidentali del Fúcino, era un tempo insediata la popolazione osca degli Equi, che insieme ai Volsci impegnò Roma per quasi tutto il V e IV sec. in una snervante guerra. Battuti al passo dell'Algido, presso i Colli Albani, nel 431 a.C., gli Equi furono costretti ad arrestare la loro offensiva verso le pianure del Lazio, ma la loro definitiva sottomissione si data solamente al 304 a.C., quando un esercito romano penetrò nel territorio degli Equi, accusati di aver sostenuto i Sanniti: gli Equi, disperando di poter sostenere uno scontro campale, si trincerarono nelle loro città, ma la decisione non si rivelò felice:

Testo 3 - Livio, IX, 45, 17-18: la distruzione degli Equi e la sottomissione delle popolazione sabelliche

Post per exploratores compertis hostium consiliis, ad singulas urbes circumferendo bello unum et triginta oppida intra dies quinquaginta, omnia oppugnando, ceperunt; quorum pleraque diruta atque incensa nomenque Aequorum prope ad internecionem deletum. (18) De Aequis triumphatum; exemploque eorum clades fuit, ut Marrucini Marsi Paeligni Frentani mitterent Romam oratores pacis petendae amicitiaeque. His populis foedus petentibus datum.

[Testo tratto dall'edizione a cura di C.F. Walters - R.S. Conway, Titi Livi ab Urbe condita, Tomus II. Libri VI-X, Oxonii 1919]

Traduzione: Poi, scoperte per mezzo degli esploratori le intenzioni del nemico, portando intorno la guerra nelle città e assediandole tutte, in cinquanta giorni ne presero trentuno: esse per la maggior parte vennero abbattute ed incendiate e il popolo degli Equi fu quasi completamente sterminato. (18) Si celebrò il trionfo sugli Equi; e la loro rovina fu di esempio, tanto che i Marrucini, i Marsi, i Peligni e i Frentani mandarono parlamentari a Roma a chieder pace e amicizia. A questi popoli, dietro loro richiesta, fu concessa l'alleanza.

[Traduzione di M. Scandola in M. Scandola - C. Moreschini (a cura di), Tito Livio. Storia di Roma dalla sua fondazione. Volume quarto (Libri VIII-X), Milano 1982]



La nazione (nomen) degli Equi venne dunque sostanzialmente cancellata dalla faccia della terra; ai pochi superstiti sappiamo venne concessa la civitas sine suffragio. Nel territorio conquistato Roma fondò due colonie di diritto latino, Alba Fucens e Carsioli, delle quali si dirà in seguito.

Abbiamo visto dal precedente passo liviano che lo sterminio degli Equi indusse alcune popolazioni che abitavano l'Appennino abruzzese e le sponde adriatiche a stringere trattati con Roma: si trattava di Marsi, Peligni, Marrucini e Frentani; queste piccole ma combattive tribù, insieme ai Vestini, sono talvolta ricordate col nome collettivo di "popolazioni sabelliche" o "popolazioni sabelliche minori", dal termine latino Sabellus, diminutivo di Sabinus, che chiarisce il loro legame con i loro vicini settentrionali e la loro appartenenza al medesimo ceppo linguistico osco.

La più settentrionale delle popolazioni sabelliche era quella dei Vestini, che occupavano la media vallata dell'Aterno e la sponda adriatica immediatamente a sud del Piceno. Questo duro popolo di montanari non è ricordato tra quelli che nel 304 a.C. inviarono ambascerie a Roma per stringere trattati, dal momento che nel 326 a.C. avevano concluso un'alleanza con i Sanniti: una sola campagna di guerra consentì a Roma di sventare la minaccia e di costringere i Vestini sulla difensiva: 302 a.C., conclusasi la II guerra sannitica, anche questa popolazione fu obbligata a stringere un trattato di alleanza con Roma. Durante la guerra sociale i Vestini si ribellarono a Roma, tranne la cittadina di Pinna, attuale Penne, il centro maggiore dei Vestini accanto a Peltuinum.

Figura 2 - Il guerriero di Capestrano, dal territorio dei Vestini

Dal territorio dei Vestini proviene la celeberrima statua del cosiddetto Guerriero di Capestrano, qui raffigurata; la statua, risalente al VI sec. a.C., riporta anche un'iscrizione in dialetto sabellico in cui si può leggere la dedica: ma kupri koram opsút Aninis raki Nevíi Pomp[uled]íi, interpretata da A. La Regina come "me bella statua fece Aninis per il re Nevio Pompuledio". Il testo riflette un periodo nel quale esisteva ancora una koiné culturale e forse politica tra le varie componenti che in seguito formarono le singole tribù sabelliche e i loro vicini settentrionali, i Piceni. Certamente il Guerriero di Capestrano testimonia l'esistenza di un'originario regime monarchico tra le popolazioni sabelliche e sannite.
Il guerriero di Capestrano


Sulle sponde sudorientali del lago del Fúcino abitavano invece i Marsi, una bellicosa stirpe che era il mito connetteva con il dio Marte e riteneva immune dal morso dei serpenti. I loro centri principali erano Antinum (odierna Civita d'Antino) e Marruvium (oggi S. Benedetto dei Marsi). Abbiamo visto come i Marsi concludessero gia nel 304 a.C. un trattato di alleanza con Roma, alla quale si mantennero fedeli per secoli: allo scoppio della guerra sociale, tuttavia, ritroviamo i Marsi tra i più accaniti oppositori di Roma, tanto che il conflitto è talvolta citato nelle fonti antiche anche come "guerra marsica"; marsico inoltre era uno dei due comandanti supremi dell'esercito degli insorti, l'embratur (termine osco equivalente al latino imperator) Poppedio Silone. Così scriveva Diodoro Siculo nel libro XXXVII della sua Biblioteca storica (un frammento conservatoci dagli estratti dell'opera diodorea trascritti da Fozio, patriarca di Costantinopoli, nel IX sec. d.C.):

Testo 4 - Diodoro Siculo, Biblioteca storica, XXXVII, 2: la guerra marsica

[Testo tratto dall'edizione a cura di C.T. Fischer - L. Dindorff, Diodori Bibliotheca Historica, VI, Lipsiae 1867-1868]

Traduzione: Diodoro afferma che la cosiddetta Guerra Marsica, avvenuta ai suoi tempi, fu la più grande delle guerre del passato. Egli dice che venne chiamata Marsica dal nome di coloro che guidarono la rivolta, infatti furono gli Italici uniti che andarono in guerra contro i Romani.



Ad oriente dei Marsi erano stanziati i Peligni, che abitavano nella media valle dell'Aterno, intorno a Corfinio, una regione montuosa e fredda (l'espressione frigor pelignus, "freddo peligno", divenne proverbiale). Si è gia ricordato il foedus, il trattato concluso tra le popolazioni sabelliche, tra i quali i Peligni, e Roma del 304 a.C. Anche i Peligni presero parte alla Guerra Sociale, anzi Corfinium, che accanto a Sulmo (Sulmona) era uno dei loro centri principali, per qualche tempo venne scelta come capitale degli insorti e ribattezzata Italia. Il sulmonese Ovidio, un secolo dopo gli eventi, giustifica così la ribellione dei suoi antenati:

Testo 5 - Ovidio, Gli amori, III, 15, 1-14: i Peligni combattono la Guerra Sociale per amore della libertà

Quaere novum vatem, tenerorum mater Amorum! / raditur hic elegis ultima meta meis; / quos ego conposui, Paeligni ruris alumnus ... / Mantua Vergilio gaudet, Verona Catullo; / Paelignae dicar gloria gentis ego, / quam sua libertas ad honesta coegerat arma, / cum timuit socias anxia Roma manus. / atque aliquis spectans hospes Sulmonis aquosi / moenia, quae campi iugera pauca tenent, / 'Quae tantum' dicat 'potuistis ferre poetam, / quantulacumque estis, vos ego magna voco.'

[Testo tratto dall'edizione a cura di E.J. Kenney, P. Ovidi Nasonis Amores, Medicamina faciei femineae, Ars amatoria, Remedia amoris, Oxonii 1961]

Cerca un altro poeta, madre di teneri amori, ormai / l'ultima meta sfiorano queste elegie che io / nutrito dalla terra dei Peligni composi nel mio libro ... / Esulta per Virgilio Mantova e Verona per Catullo / io sarò detto vanto della terra peligna che a giuste armi spinta fu da amore di libertà allorquando Roma in ansia temette le schiere consociate. / E un viandante un giorno contemplando le mura di Sulmona / ricca d'acqua, che pochi iugeri di campagna / cingono, dirà «Poiché generaste un poeta quale è questo, / per piccole che siate, io vi proclamo grandi».

[Traduzione di G. Leto in P. Fedeli - G. Leto - F. Brancaleone, Publio Ovidio Nasone. Versi e precetti d'amore. Amores, Ars amatoria, Medicamina faciei, Remedia amoris, Torino 1998]



Lungo il basso corso dell'Aternus era infine stanziata la piccola popolazione dei Marrucini, nel cui territorio si trovava in pratica un solo centro urbano di rilievo, Teate, l'odierna Chieti. I Marrucini seguirono la sorte delle altre popolazioni sabelliche, stringendo un trattato con Roma nel 304 a.C. e ribellandosi solo ai tempi della Guerra Sociale. Lo straordinario valore dei Marrucini e dei loro confinanti Peligni si esaltò soprattutto nella battaglia di Pidna del 167 a.C., combattuta dai Romani, al comando di L. Emilio Paolo, contro i macedoni del re Perseo. Leggiamo la drammatica descrizione che Plutarco riprese, nella sua Vita di Emilio Paolo, da un testimone oculare degli avvenimenti, un tal Posidonio:

Testo 6 - Plutarco, Vita di Emilio Paolo, 20, 1-4: straordinario valore dei reparti dei Peligni e dei Marrucini nella battaglia di Pidna

[Testo tratto dall'edizione a cura di K. Ziegler, Plutarchus. Vitae parallelae, II, 1, Lipsiae 1964]

Traduzione: Sull'altro fronte, dal momento che i Romani contrappostisi alla falange, non riuscivano ad avere la meglio, Salvio, il comandante dei Peligni, afferrata l'insegna dei suoi sottoposti, la gettò fra i nemici. (2) Ed essendosi i Peligni lanciati all'assalto di corsa in direzione di quel luogo (per gli Italici infatti, non è né lecito né pio abbandonare un'insegna), ci furono azioni e sofferenze terribili per entrambe le parti che si erano scontrate. (3) Gli uni, infatto, si sforzavano di far cadere con le spade le sarisse e di premerle con gli scudi e di allontanarle afferrandole con le stesse mani: (4) gli altri invece, rafforzando la difesa con entrambe le mani e trapassando gli assalitori con le stesse armi, senza che né scudo né corazza riuscissero a fermare l'impeto della sarissa, sollevavano in alto i corpi dei Peligni e dei Marrucini, i quali, senza alcun calcolo, ma con bestiale animosità, si gettavano incontro ai colpi degli avversari e a una morte certa.

[Traduzione di A. Barzanò in A. Barzanò - M. Sordi - A. Penati, Plutarco. Vite parallele. Emilio Paolo. Timoleonte, Milano 1996]



Sulla costa adriatica, tra il territorio dell'Apulia e quello dei Marrucini, si trovavano i Frentani, una popolazione di cui Strabone notava l'affinità con i Sanniti (V, 4, 2), ma che dal punto di vista politico si accostarono alle popolazioni sabelliche minori con le quali confinavano verso nord: sottomessi dai Romani già nel 319 a.C., secondo una notizia di Livio (IX, 16, 1) non esente da sospetti, i Frentani avrebbero concluso un trattato di alleanza con Roma nel 304 a.C., insieme alle altre popolazioni sabelliche. Il loro centro principale era Histonium, l'odierna Vasto.

Nella parte meridionale della IV regione erano insediate le due tribù propriamente sannite dei Carricini e dei Pentri, che insieme ai Caudini e agli Irpini (compresi in età augustea nella regio II Apulia et Calabria), avevano costituito la lega Sannitica.

I primi, per i quali il geografo Tolemeo attesta il nome di Caraceni, riportato anche nella nostra carta, erano stanziati nell'alta valle del fiume Sagrus, odierno Sangro, probabilmente sulla sponda sinistra del fiume. Loro centro principale era Iuvanum, nei pressi dell'attuale Torricella Peligna.

Nel territorio dei Pentri, la maggiore delle tribù sannitiche, si trova l'importante complesso archeologico di Pietrabbondante, di cui qui si riportano alcune immagini. Il nome antico di questa insediamento è ignoto, in effetti la vecchia ipotesi di T. Mommsen, secondo la quale Pietrabbondante era da identificare con l'antica Bovianum non sembra trovare fondamento. Nel sito si notano particolarmente le fortificazioni erette sul monte Saraceno, coeve alle guerre sannitiche e, ai piedi della montagna, in località Calcatello, un santuario, la cui epoca di massima fioritura si colloca in un periodo in cui il Sannio era ormai entrato nell'egemonia romana. La parte più cospicua del santuario è costituita dal complesso del grande tempio e del teatro, complesso che venne costruito tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C., su di un sito occupato da un luogo di culto precedente.

 



Del teatro di conservano i sedili in pietra della parte inferiore della cavea; nella parte superiore della cavea stessa dovevano essere collocate delle semplici panche in legno. Il tempio, detto tempio B, era il più grande del Sannio e sorgeva dietro il teatro, in posizione più elevata. Era dedicato probabilmente ad una triade di divinità, come lascia pensare la presenza di tre celle e di tre altari davanti ad esse. Non si trattava necessariamente della medesima triade venerata sul Campidoglio, Giove, Giunone e Minerva: un'iscrizione relativa ad un offerta votiva depositata nel tempio ricorda infatti la dea Vittoria.



Le città

Figura 5 - Amiternum

Tra i centri dei Sabini da ricordare in primo luogo Amiternum (oggi San Vittorino, nei pressi dell'Aquila), nella regione ai piedi del Gran Sasso che sarebbe stata, secondo la Catone, la culla di questa popolazione. La città sorgeva su di un terrazzo che dominava le rive del fiume Aternus, dal quale prendeva il nome. Cadde sotto l'egemonia romana nei primi anni del III sec. a.C. Nella seconda metà del II sec. a.C. Amiternum sarebbe stata collegata a Roma dalla via Cecilia, ma il percorso di questa strada, come vedremo, è oggetto di dibattito. Quel che è certo è che la città negli ultimi decenni dell'età repubblicana era pienamente romanizzata: nell'86 a.C. in effetti diede i natali ad uno dei maggiori storici latini, Sallustio. Amiternum cessò di esistere come città solamente verso il 1250, quando la popolazione venne trasferita in un vicino centro di nuova fondazione, L'Aquila. Tra i monumenti romani più famosi di Amiternum ricordiamo l'anfiteatro, qui raffigurato, che sorgeva nell'area pianeggiante ad ovest del centro urbano.
Veduta dell'anfiteatro di Amiternum


L'altro centro principale dei Sabini era Reate, l'odierna Rieti, che sorgeva nel punto in cui la via Salaria scavalcava il fiume Velino. Di Rieti erano originari l'erudito Varrone e l'imperatore Vespasiano, il fondatore della dinastia flavia.

Nel territorio degli Equi si trovava Carsioli (o Carseoli), un piccolo centro preromano che entra tuttavia nella storia solamente quando, fra il 302 e il 298 a.C. vi venne fondata una colonia latina, congiunta a Roma dalla via Valeria. Carsioli, che si trova nei pressi dell'odierna Carsòli, in Abruzzo, non è da confondere con la non lontana Carsulae, che si trova vicino a San Gemini, in Umbria.

Il centro meglio noto del territorio un tempo appartenuto agli Equi è tuttavia Alba Fucens, il cui nome oggi continua in quello del comune di Massa d'Albe (nei pressi di Avezzano). La città venne fondata come colonia latina nel 304 a.C. non lontano dal Fùcino, in un punto in cui la via Valeria incrociava un antico percorso che dall'Etruria conduceva sino in Campania. Durante la guerra sociale Alba Fucens, che si mantenne fedele a Roma, fu al centro degli scontri.

Figura 6 - Alba Fucens

La grande stagione edilizia della città inizia nell'età tardorepubblicana, quando Alba Fucens viene in larga misura ricostruita secondo canoni urbanistici ellenistici. Dal III sec. d.C. si intravedono i segni della decadenza: l'ultima notizia sulla città risale al 537 d.C., ai tempi della guerra fra Goti e Bizantini. Lo scavo sistematico della città, di cui qui si presenta un'immagine, è iniziato nel 1949, ad opera di un'équipe archeologica belga.
Veduta degli scavi di Alba Fucens


Il centro principale dei Marsi era Marruvium:, oggi S. Benedetto dei Marsi, al limite della conca del Fùcino. Nato come semplice villaggio, uno dei tanti presenti nel territorio marsico, la località acquistò grande importanza nel momento di passaggio tra le forme di insediamento vicane (cioè per vici, villaggi) dell'età preromana all'organizzazione incentrata sulla città del periodo romano: Marruvium venne infatti scelta come sede di un municipium, il più importante della Marsica.

Passando dai Marsi ai Peligni, possiamo ricordare Corfinium: (oggi nei pressi di Corfinio, come venne ribattezzato il piccolo centro di Pentima, a ricordo dell'antica città peligna). Corfinium entra nella storia nel 90 a.C., quando gli insorti italici ne fecero la sede del loro Senato e, di fatto, la capitale della loro alleanza; per l'occasione, come già detto, la città venne ribattezzata Italia o Italica. Nonostante la sconfitta dei socii italici e nonostante il coinvolgimento di Corfinium nelle operazioni della guerra civile, la città conservò una notevole importanza per tutta l'età antica, grazie alla sua favorevole posizione sul fiume Aterno e all'incrocio con importanti assi stradali.

Nell'estremo sud della regione, nel territorio abitato dai Pentri, merita infine una menzione Saepinum, oggi Altilia (mentre il nome di Sepino è stato ereditato da un centro situato qualche chilometro più a sud della città antica). La città in età sannitica si trovava sulle pendici del monte Mutria: conquistata e distrutta dai Romani nel 293 a.C., venne rifondata nella valle del fiume Tammaro, un paio di chilometri più a nord, lungo un'antica via di transumanza, che divenne il decumano cittadino.

Figura 7 - Saepinum

Si conservano a Saepinum notevoli resti archeologici, tra i quali ricordiamo il circuito delle mura, di età augustea, e le porte che vi si aprivano (tra le quali la cosiddetta porta Boiano, sulla quale è murata una nota iscrizione di cui avremo modo di parlare in seguito) e il piccolo teatro di età imperiale, qui raffigurato.
Il teatro di Saepinum



Le vie di comunicazione

Tre grandi strade congiungevano Roma alla IV regione augustea: la più settentrionale era la via Salaria, il cui nome stesso denuncia la sua grande antichità. La strada in effetti non prendeva il nome dal magistrato che ne aveva promosso la costruzione, come avvenne di regola a partire dal caso della via Appia, ma dal fatto che veniva impiegata per il trasporto del sale raccolto alla foce del Tevere verso l'interno della penisola. La Salaria, oggetto di numrosi interventi, usciva dalle mura serviane a Porta Collina e dal circuito difensivo fatto costruire da Aureliano attraverso la porta detta appunto Salaria; puntava poi decisamente verso nord, passando per Fidene o, secondo un'altra ipotesi, per Nomentum (oggi Mentana), per raggiungere poi Reate; da qui la strada risaliva la valle del fiume Velino, per passare nella valle del Tronto e nel Piceno.

Assai discusso è il percorso della via Cecilia, riguardo alla quale possiediamo due importanti documenti: il primo è un'iscrizione rinvenuta a Roma, nei pressi di porta Collina, che ricorda l'appalto di diverse opere di rifacimento della via ed è databile all'età di Silla (CIL I2 808); il secondo è un milliare ritrovato a S. Omero, in provincia di Teramo, dunque già in territorio piceno (CIL I2 661): vi si ricorda il console L. Caecilius Q.f. Metellus, presumibilmente il costruttore della via, e la distanza da Roma di 119 miglia. Le due iscrizioni, per quanto interessanti, riguardano rispettivamente il tratto iniziale e finale della via Cecilia e non ci dicono molto sul suo percorso nella regione della Sabina. Secondo un opinione assai diffusa tra gli studiosi, che ha trovato regolare riscontro nei maggiori atlanti storici, la Caecilia si sarebbe distaccata dalla Salaria ancora in territorio sabino (nell'area di Trebula Mutuesca secondo la carta riportata all'inizio di questo capitolo, a monte di Rieti secondo la mappa del Barrington Atlas), avrebbe poi raggiunto Amiternum e passato lo spartiacque appenninico dal Passo delle Capannelle, a 1.299 sul livello del mare, in vista del Gran Sasso e dei Monti della Laga.

Gerhard Radke, lo studioso autore del lungo articolo sulle Viae publicae Romanae nella Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, ha tuttavia contestato la communis opinio, principalmente in base al fatto che una via di grande comunicazione di età romana difficilmente avrebbe seguito un percorso impervio come quello delineato. Il Radke è piuttosto dell'opinione che la via Cecilia ricalcasse esattamente, nella prima parte, la vecchia via Salaria, sostanzialmente dunque fosse un rifacimento di quest'ultima strada; da Ascoli poi si sarebbe prolungata per Castrum Novum (odierna Giulianova) e Hadria (odierna Atri); il prolungamento della Cecilia dunque avrebbe sostanzialmente interessato solamente l'area che in età augustea andrà a far parte della regio V Picenum. Una sostanziale incertezza regna anche a proposito del costruttore della via Cecilia, che potrebbe identificarsi con il console del 142 a.C. L. Cecilio Metello Calvo o con quello del 117 a.C. L. Cecilio Metello Diademato.

La più meridionale delle vie che da Roma si inoltravano nel Sannio era la via Valeria - Claudia; nel suo primo tratto questo percorso per la verità prendeva il nome di via Tiburtina, collegando in effetti Roma a Tibur. Dopo questa località la strada, assunto il nome di Valeria, toccava le colonie di Carsioli e Alba Fucens, per terminare nella piccola località marsica di Marruvium. Anche sulla datazione della via Valeria esistono incertezze: il fatto che collegasse Carsioli e Alba Fucens, colonizzate rispettivamente nel 298 e nel 304 a.C., ha fatto ipotizzare che sia stata tracciata nei primi anni del III sec. a.C., forse dal console del 289 e del 289 a.C. M. Valerio Massimo. Negli anni 48/49 d.C. l'imperatore Claudio fece prolungare la Valeria fino a Corfinio e poi, lungo la valle dell'Aternus, fino a Teate Marrucinorum (oggi Chieti) e infine alle foci del fiume, Ostia Aterni, nei pressi dell'attuale Pescara. La nuova strada assunse dunque il nome di via Claudia Valeria.

Tra gli scali marittimi della quarta regione dell'Italia augustea è da ricordare principalmente il porto di Ostia Aterni, posto appunto alle foci del fiume Aternus, nei pressi dell'attuale Pescara.




Le risorse economiche

La visione della quarta regione dell'Italia augustea come terra aspra e montagnosa, sostanzialmente inadatta all'agricoltura, deve essere quanto meno sfumata. Nella regio IV in effetti erano alcune piccole pianure interne assai fertili, così per esempio i cosiddetti Campi Rosei, nella Sabina, che in Varrone (Sull'agricoltura, I, 7, 10) sono definiti come il territorio più ubertoso d'Italia. Più in generale, così scriveva Strabone a proposito dell'agricoltura e dell'allevamento nella Sabina:

Testo 7 - Strabone, Geografia, V, 3, 1: ricchezza del suolo della Sabina

[Testo tratto dall'edizione di F. Lassère, Strabon. Géographie, Tome III (Livres V et VI), Paris 1967]

Tutto il suolo della Sabina è particolarmente ricco di oliveti e vigneti, ma produce anche ghiande in abbondanza. Molto sviluppato è l'allevamento, ma soprattutto la fama dei muli di Rieti è assai diffusa.

[Traduzione di N. Biffi in N. Biffi, L'Italia di Strabone. Testo, traduzione e commento dei libri V e VI della Geografia, Genova 1988]

 



Un operazione di respiro ancor più ampio venne tentata da Claudio con lo scavo di un tunnel che doveva permettere alle acque del grande lago del Fùcino di gettarsi nel fiume Liri. L'operazione, che avrebbe guadagnato un ampio e fertile territorio all'agricoltura romana, andò incontro ad un successo solo parziale; la completa bonifica del Fùcino venne realizzata solamente nella seconda metà del XIX secolo dalla nobile famiglia Torlonia, proprietaria dell'area.

Oltre che in queste aree pianeggianti, l'agricoltura era certamente praticata anche nelle zone collinari. Certo la produzione agricola, in genere, era indirizzata al solo autosostentamento e in alcuni casi, visto il forte indice di crescita demografica, non era nemmeno sufficiente ad assicurare il nutrimento delle popolazioni locali: questa, in definitiva, fu la ragione della spinta all'emigrazione delle popolazioni osche dell'Italia centrale, alla ricerca di terre più fertili.

L'attività economica più caratterizzante della regio IV non era dunque l'agricoltura, ma l'allevamento. Le alte terre della Sabina e del Sannio, in effetti, offrivano eccellenti pascoli estivi per le greggi che trascorrevano l'inverno nelle piane del Lazio o della Puglia settentrionale. Attraverso una fitta rete di tratturi il bestiame, in particolare ovini, si spostava periodicamente secondo l'antica pratica della transumanza, ancora in voga fino a pochi decenni fa: il rilievo di Sulmona qui riportato ne raffigura probabilmente una scena, nelle forme ingenue dell'arte popolare italica.

Figura 9 - L'allevamento

Scena di transumanza in un rilievo di Sulmona




La convivenza tra le grandi greggi transumanti e le comunità cittadine, composte essenzialmente da proprietari terrieri, era spesso carica di tensioni. Uno straordinario documento, inciso sulla porta di Boiano a Saepinum, ci fa conoscere le forme assunte nell'Italia romana dall'eterno conflitto tra agricoltori ed allevatori.

Testo 8 - Corpus Inscriptionum Latinarum, IX, 2438: tensioni tra comunità municipale e pastori a Saepinum

Bassaeus Rufus et Macrinius Vindex magg(istratibus) / Saepinat(ibus) salutem. / Exemplum epistulae scriptae nobis a Cosmo Aug(usti) lib(erto) / a rationibus cum his quae iuncta erant subiecimus et admonem/us abstineatis iniuris faciendis conductoribus gregum oviarico/rum cum magna fisci iniuria ne necesse sit recognosci de hoc / et in factum, si ita res fuerit, [ut oportet] vindicari.
Cosmi Aug(usti) lib(erti) a rationibus scriptae ad Basseum Rufum et ad / Macrin<i>um Vindic(em) pr(aefectos) pr(aetorio) e(minentissimos) v(iros) exemplum epistul(ae) scriptae mih(i) / a Septimiano colliberto et adiutore meo subieci, et peto tanti / faciatis sc<r>ibere magg(istratibus) Saepin(atibus) et Bovian(ensibus) uti desinant iniuriam / conductoribus gregum oviaricorum qui sunt {sunt} sub cura mea facere, / ut be<ne>ficio vestro ratio fisci indemnis sit.
Script(ae) a Septimiano ad Co/smum. Conductores gregum oviaricorum, qui sunt sub cura tua, in re pr(a)esenti / subinde mihi quererentur per itinera callium frequenter iniuria<m> / se accipere a stationaris et magg(istratibus) Saepino et Boviano eo quod in tra<n>situ / iumenta et pastores, quos conductos habent, dicentes fugitivos esse et / iumenta abactia habere, et sub hac specie oves quoque dominicae / [diffu]giant in illo tumultu, necesse habe(b)amus etiam scribere quietius ag/erent ne res dominica detrimentum pateretur; et cum in eadem contumacia / perseverent, dicentes non curaturos se neque meas litterasneque si tu eis / scrips[isses] litter[a]s, t[e] rogo, domine, si tibi videbitur, indices Basseo Rufo / et Macrin<i>o Vindici pr(aefectis) pr(aetorio) e(minentissimis) v(iris) ut epistulas emittant ad eosdem mag(istratus) et stati/onarios [---] tandiu(!) t[eme]re(?) [ir]ritum(?) factum est.

Traduzione: Basseo Rufo e Macrinio Vindice salutano i magistrati di Sepino. Vi sottoponiamo copia della lettera che ci è stata scritta da Cosmo, liberto dell'imperatore, ministro a rationibus, insieme alle altre che vi erano allegate e vi ammoniamo di astenervi dal fare violenza agli appaltatori delle greggi delle pecore, atto che porta un grave nocumento alle cassa imperiale, altrimenti sarà inevitabile avviare un'inchiesta e intervenire, se del caso, con gli opportuni provvedimenti.
Lettera di Cosmo, liberto dell'imperatore, ministro a rationibus, scritta a Basseo Rufo e a Macrinio Vindice, eminentissimi prefetti del pretorio. Vi sottopongo copia della lettera scritta a me da Settimiano, liberto imperiale e mio aiutante, e chiedo che vi prendiate la pena di scrivere ai magistrati di Sepino e di Boviano, affinché cessino di far violenza agli appaltatori delle greggi di pecore che dipendono dal mio ufficio, sì che per il vostro benigno intervento le finanze imperiali non siano danneggiate.
Lettera scritta da Settimiano a Cosmo. Gli appaltatori delle greggi di pecore che dipendono attualmente dal tuo ufficio si sono lamentati presso di me perché spesso, durante gli spostamenti lungo i tratturi, hanno subito angherie dalla polizia e dai magistrati di Sepino e di Boviano: costoro infatti, al momento del transito per queste città, affermano che i cavalli e i pastori da essi appaltati sono rispettivamente animali rubati e schiavi fuggiti: nel corso dell'ispezione che viene effettuata con questo pretesto, e della confusione che ne risulta, scompaiono anche pecore di proprietà imperiale. È quindi necessario che venga loro scritto di comportarsi con più moderazione, affinché la proprietà imperiale non abbia a subire un danno. E poiché sogliono perseverare in tale comportamento ingiustificabile, affermando che non hanno intenzione di tenere in alcun conto né le mie lettere, né quelli che tu eventualmente potessi scrivere loro, ti prego, signore, se ti parrà opportuno, di chiedere a Basseo Rufo e Macrinio Vindice, uomini eminentissimi, di inviare lettere a questi magistrati e poliziotti.

[Traduzione di U. Laffi in U. Laffi, L'iscrizione di Sepino (CIL IX, 2438) relativa ai contrasti fra le autorità municipali e i conductores delle greggi imperiali, «Studi Classici e Orientali», 14 (1965), pp. 177-200]




L'iscrizione, databile tra il 169 e il 172 d.C. sulla base di quanto conosciamo da altre fonti sulla carriera dei personaggi menzionati, riporta tre documenti o meglio, gli estratti di tre documenti, citati in ordine inverso rispetto a quello della loro redazione. Conviene riprenderne brevemente il contenuto, secondo la loro successione cronologica.

Il primo documento è l'estratto di una lettera inviata al liberto Cosmo, a rationibus ("ministro delle finanze imperiali", potremmo tradurre, pur con una certa forzatura attualizzante) dal suo impiegato Settimiano. In essa Settimiano comunica al suo superiore i gravi fatti occorsi a Saepinum e Bovianum: in queste località, attraversate dal tratturo che collegava la Puglia settentrionale al Sannio, le autorità municipali avevano più volte proceduto a dure ispezioni delle greggi e delle carovane al loro seguito, sulla base del sospetto che tra i pastori si nascondessero schiavi fuggitivi e che alcuni dei cavalli impiegati per il trasporto di cose e persone fossero rubati. Nel tumulti che seguivano queste perquisizioni, finiva sempre che qualche pecora andava perduta (andando verosimilmente ad imbandire la mensa dei magistrati e della guardia municipale, gli stationarii, di Bovianum e Saepinum ...). Il fatto andava a diretto detrimento delle finanze imperiali, dal momento che queste greggi erano proprietà del principe, che le dava in affitto ad appaltatori specializzati, i conductores. I conductores stessi si lamentarono con Settimiano per gli abusi subiti, sottolineando le pretestuosità delle accuse portate; l'epigrafe, riportando solamente la voce degli allevatori, ovviamente tace sugli eventuali torti effettivamente da loro commessi. Sta di fatto che le autorità municipali di Sepino e Boviano ignorarono semplicemente i richiami di Settimiano. Questi suggerisce dunque a Cosmo di riferire il problema ai prefetti del pretorio Basseo Rufo e Macrinio Vindice, esortandoli ad intervenire.

Il suggerimento venne puntualmente accolto da Cosmo, che inviò una lettera con richiesta di intervento ai prefetti del pretorio, allegando anche il messaggio in cui Settimiano esponeva lo stato della questione. Un estratto della lettera di Cosmo a Basseo Rufo e Macrinio Vindice è riportato nel secondo paragrafo dell'iscrizione.

I due prefetti del pretorio non tardarono a mettere in atto quanto veniva proposto da Cosmo e scrissero a loro volta una lettera ai magistrati di Sepino e Boviano, allegando tutta la documentazione pregressa e minacciando, nel caso le violenze ai danni dei conductores non cessassero, di condurre un'ispezione e di prendere i necessari provvedimenti contro le due comunità.

Il severo richiamo all'ordine da parte dei prefetti del pretorio dovette essere ascoltato dai magistrati di Sepino, almeno formalmente, se diedero ordine di incidere il testo sulla porta di Boiano, per rendere pubblica la presa di posizione di Baseo Rufo e Macrinio Vindice. Una seconda copia, forse, venne redatta anche a Bovianum, l'altra comunità coinvolta nella questione.




Approfondimenti

Tra gli studi di carattere generale ricordiamo E.T. Salmon, Samnium and the Samnites, Cambridge 1967 [SR IV 9], con la traduzione italiana Il Sannio e i Sanniti, Torino 1985 [SR IV 9T], gli atti del convegno La romanisation du Samnium aux II et I siècle av. J.-C., Naples 1991 [ITALIA I Samn/5] e la recente raccolta di scritti di V.A. Sirago, Il Sannio romano. Caratteri e persistenze di una civiltà negata, Napoli 2000 [ITALIA I Samn/9].

Un'eccellente raccolta di fonti letterarie ed epigrafiche per l'area corrispondente alla moderna regione dell'Abruzzo, che copre buona parte dell'antica regio IV, ci è data da M. Buonocore - G. Firpo, Fonti latine e greche per la storia dell'Abruzzo antico, Padova - L'Aquila 1991-1998, in due volumi [DSA F RACC 130, il solo vol. I, dedicato ai territori dei Peligni, Marrucini, Carricini, Frentani e Pentri].

Una rassegna bibliografica, parimenti limitata ai confini dell'odierno Abruzzo, ci è offerta da G. Iaculli, Bibliografia ragionata di archeologia abruzzese 1989-1993, Chieti 1996 [ITALIA I Abr].

Alla documentazione archeologica è dedicato il volume nella collana delle «Guide Archeologiche Laterza» a cura di F. Coarelli - A. La Regina, Abruzzo. Molise, Roma - Bari 1993 [PROV IX 16]; Tibur tuttavia è trattata in F. Coarelli, Dintorni di Roma, Roma - Bari 1981 [PROV IX 10/7]. Un celebre esempio di prospezione archeologica ci è offerto da G. Barker, A Mediterranean Valley: Landscape Archaeology and Annales History in the Biferno Valley, Leicester 1995, di cui nel nostro Dipartimento esiste la traduzione italiana: La valle del Biferno. Archeologia del territorio e storia annalistica, Campobasso 2001 [ITALIA II Campob]. Alla sezione molisana dell'antica regio IV è dedicato il catalogo della mostra Samnium. Archeologia del Molise, a cura di S. Capini - A. De Niro, Roma 1991 [ITALIA I Samn/4]. Ancora in fieri il sito web della Soprintendenza archeologica d'Abruzzo, dove comunque si possono già visitare le sezioni relative ai musei e alle aree archeologiche (http://www.soprintendenza-archeologica.ch.it/). Da segnalare anche le pagine Internet relative a due recenti progetti di indagine archeologica nella regione: The Sangro Valley Project (http://www.sangro.org/), una ricerca condotta in collaborazione tra la Soprintendenza, L'Università di Oxford e l'Oberlin College (USA), e The Iuvanum Survey Project, frutto della collaborazione tra Soprintendenza, British Academy e Università di Chieti e Cardiff (http://www.cf.ac.uk/hisar/ancthist/projects/iuvanum/).

La documentazione epigrafica della regio IV è raccolta nel volume IX del CIL [CONS Sala Roma]. Nella collana delle Inscriptiones Italiae è apparso solamente il fascicolo a cura di I. Mancini, Tibur, Roma 19522 [CONS Sala Roma]; ricordiamo che le iscrizioni latine di Tibur vennero registrate nel volume XIV del CIL, dal momento che, quando venne compilato questo tomo del Corpus, l'orientamento prevalente tra gli studiosi collocava la città nel Latium vetus. Nella serie dei Supplementa Italica [E IV.1 Ita/1] sono usciti gli articoli di M. Buonocore, Histonium, «Supplementa Italica», 2, Roma 1983, pp. 97-144; Id., Teate Marrucinorum, ibid., pp. 145-194; Id., Corfinium, «Supplementa Italica», 3, Roma 1987, pp. 93-222; Id., Sulmo, «Supplementa Italica», 4, Roma 1988, pp. 11-116; M.G. Granino Cecere, Trebula Suffenas, ibid., pp. 117-240; M. Buonocore, Superaequum, «Supplementa Italica», 5, Roma 1988, pp. 87-144; G. Filippi, Forum Novum, ibid., pp. 145-238; M. Buonocore, Aufidena, «Supplementa Italica», 8, Roma 1991, pp. 47-69; S. Segenni, Amiternum - Ager Amiterninus, «Supplementa Italica», 9, Roma 1992, pp. 11-209; R. Cordella - N. Criniti, Nursia - Ager Nursinus, «Supplementa Italica», 13, Roma 1996, pp. 11-189; M.C. Spadoni, Reate - Ager Reatinus, «Supplementa Italica», 18, Roma 2000, pp. 11-151.

Una raccolta speciale sull'area dei Marsi è curata da C. Letta- S. D'Amato, Epigrafia della regione dei Marsi, Milano 1975 [E IV. 3 Mars/1]. Sull'epigrafia di Aesernia G. De Benedittis - M. Matteini Chiari - C. Terzani, Molise. Repertorio delle iscrizioni latine. V 1. Aesernia. Il territorio e la città, Campobasso 1999 [E IV.3 Aes/2], con un'ampia introduzione di carattere archeologico e la pubblicazione di qualche iscrizione inedita o rivista; la documentazione epigrafica già edita dovrebbe essere ripubblicata nel secondo tomo dell'opera; su Bovianum G. De Benedittis, Molise. Repertorio delle iscrizioni latine. I. Bovianum, Campobasso 1995 [E IV.3 Bov/1]; le iscrizioni del piccolo municipio di Fagifulae, nel Sannio meridionale, sono state riprese da G. De Benedittis, Molise. Repertorio delle iscrizioni latine. III. Fagifulae, s.l. 1997 [E IV.3 Fag/1].

Una buona documentazione fotografica sull'area molisana (corrispondente all'incirca al territorio occupato dai Carricini e Pentri) si trova nel sito Internet di Arch Art, (http://www.archart.it/), a cura di G. Lattanzi; accesso diretto alla sezione molisana di questo interessante sito all'indirizzo http://www.archart.it/archart/italia/molise/molise.htm.

Sui Sabini si veda il volume miscellaneo Identità e civiltà dei sabini. Atti del XVIII Convegno di studi etruschi ed italici, Rieti-Magliano Sabina, 30 maggio-3 giugno 1993, Firenze 1996 [MISC III Sab].

Sui Marsi e il loro territorio C. Letta, I Marsi e il Fucino nell'antichità, Milano 1972 [SR III 21], oltre alla già citata raccolta di iscrizioni curata da Letta - D'Amato, Epigrafia della regione dei Marsi, cit. Un interessante sito Internet è dedicato al centro principale dei Marsi, Marruvium (odierna San Benedetto dei Marsi): si tratta di Marruvium.it, consultabile all'indirizzo http://www.marruvium.it/, nel quale si vedranno in particolare le sezioni dedicate alla Storia e all'Archeologia dell'importante località.

Sui Sanniti, oltre al già ricordato studio di E.T. Salmon, si segnala la miscellanea Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C. Atti del convegno 10-11 Novembre 1980, s.l. 1984 [ITALIA I Samn/8] e il catalogo della mostra collegata: Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C., Roma 1980 [ITALIA I Samn/2]; si veda inoltre il sito Internet di un appassionato, l'architetto Davide Monaco, documentato da numerose mappe e immagini di documenti archeologici: Sanniti, all'indirizzo http://space.tin.it/io/davmonac/sanniti/index.html.

Riguardo alle città della regio IV, in particolare su Amiternum la monografia di S. Segenni, Amiternum e il suo territorio in età romana, Pisa 1985 [ITALIA II Aquila]. Alba Fucens è stata oggetto di diverse campagne di scavo da parte di un équipe archeologica belga, cf. J. Mertens, Alba Fucens. I-II. Rapports et études, Bruxelles - Rome 1969 [ITALIA II A.F.]. Riguardo a Corfinium e Sulmo possediamo un volume della serie Forma Italiae: F. van Wonterghem, Superaequum. Corfinium. Sulmo, Firenze 1984 [ITALIA IV 23]. A Tibur sono dedicati ben quattro volumi della serie Forma Italiae: C.F. Giuliani, Tibur, Roma 1966 [ITALIA IV 3]; Id., Tibur, Roma 1970 [ITALIA IV 4]; Z. Mari, Tibur, Firenze 1983 [ITALIA IV 24]; Id., Tibur, Firenze 1991 (Forma Italiae 31) [ITALIA IV30]. Diverse monografie sono state scritte sulla Villa di Adriano: S. Aurigemma, Villa Adriana, Roma 1961 [ITALIA II Tiv]; J. Charles-Gaffiot - H. Lavagne, Hadrien. Trésors d'une villa impériale, Milano 1999 [ITALIA II Tiv]; Adriano. Architettura e progetto, Milano 2000 [ITALIA II Tiv]. Su Rieti M.C. Spadoni Cerroni - A.M. Reggiani Massarini, Reate, Pisa 1992 [ITALIA II Rie/1].

Riguardo alle vie di comunicazione segnaliamo la monografia che un appassionato locale ha dedicato ai percorsi segnati sulla Tabula Peutingeriana: P. Nuvoli, La Tabula di Peutinger in area sannitica. Quadro geostorico e analisi di quattro percorsi, Venafro (Isernia) 1998 [ITALIA I Samn/7]. Sulla via Salaria vedi da ultimo La Salaria in età antica. Atti del convegno di studi, Ascoli Piceno, Offida, Rieti, 2-4 ottobre 1997, a cura di E. Catani - G. Paci, Macerata - Roma 2000 [MISC III Salaria], in particolare gli articoli di G. Alvino - T. Leggio, La via Salaria dall'età romana al primo Medioevo, pp. 11-29; F.M. Cifarelli - F. Di Gennaro, La via Salaria dall'Aniene all'Allia, pp. 121-145. Sulla via Cecilia S. Barbetta, La via Caecilia da Roma ad Amiternum, «La Salaria in età antica», cit., pp. 47-64; M.P. Guidobaldi, La via Caecilia: riflessioni sulla cronologia e sul percorso di una via publica romana, ibid., pp. 277-291.

All'economia agricola della Sabina, prevalentemente in età tardoantica e medievale, è dedicato il saggio di E. Migliario, Strutture della proprietà agraria in Sabina dall'età imperiale all'alto medioevo, Firenze 1988 [ITALIA I Sab/3].


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© Alessandro Cristofori 2002

 

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